giovedì 31 maggio 2007

Quanti sono gli impiegati pubblici?

1. Gli impiegati pubblici non hanno mai goduto di grandi simpatie nel nostro Paese.
Subito dopo l’Unità d’Italia e per tutto il XIX secolo – quando ancora erano pochissimi perché esigue erano le funzioni attribuite all’amministrazione pubblica – sono stati sbrigativamente qualificati come burocrazia, visti con sospetto e trattati con sdegno.
Da allora, la polemica antiburocratica è una delle componenti più costanti della letteratura pubblicistica e da sempre si pone come trasversale rispetto a ideologie e schieramenti politici.
Così, fino alla soglia del secolo scorso e alle riforme giolittiane, gli impiegati pubblici sono additati dai sostenitori del decentramento amministrativo (che erano distribuiti in un arco assai vasto, tra movimenti di sinistra e blocco conservatore [1]) come forza accentratrice rivolta alla conquista di privilegi; dai sostenitori di riforme per introdurre meccanismi di giustizia nell’amministrazione come “forza repulsiva della giustizia”; dai sostenitori del liberismo economico come forza che distrugge “le forze morali emananti dall’iniziativa individuale”, dai giuristi conservatori come “autorità giacobina e spavalda” dietro la quale “sta il socialismo marxista e le aberrazioni comunistiche” [2], dai giuristi progressisti come forza oscurantista e conservatrice[3].
“Onnipotente non è la legge, ma la burocrazia” si lamenta Soro Delitala[4].
Proprio perché poco amati, gli impiegati pubblici sono sempre stati ritenuti troppi e le spese loro destinate eccessive[5].
Il Governo attuale non ha fatto certo eccezione, proponendo una soluzione di blocco del turn-over delle assunzioni (anch’essa ben radicata nella tradizione: una storia dei blocchi delle assunzioni e dei loro fallimenti meriterebbe una indagine a sé). Il blocco attuale dovrebbe operare fino al 2007.
«Per ogni 5 operatori che andranno in pensione, ne verrà assunto uno, eccezion fatta per alcune situazioni come la sicurezza e la scuola»[6]: come vedremo, le situazioni escluse dal blocco riguardano almeno il 50% dell’intero pubblico impiego.
Ma: sono davvero troppi i dipendenti pubblici nel nostro paese?

2. Per rispondere a questa domanda, bisogna però affrontare un quesito preliminare che, come vedremo, non è di facile soluzione: quanti sono i dipendenti pubblici?
La risposta, non semplice fino alla soglia degli anni Novanta, è assai più complessa oggi in quanto, a seguito della privatizzazione, varia, a seconda di ciò che oggi si intende per pubblico impiego e per dipendente pubblico e quindi del criterio utilizzato.
Prima di tutto: circolano, soprattutto on-line, molti dati, stime e rapporti su questa materia, assolutamente non concordanti tra di loro, proprio perché sono diversi i criteri usati.
C’è una “elaborazione” del Ministero della Funzione Pubblica, basata su dati di una ricerca OCSE-PUMA del 2002.
Ci sono dati delle organizzazioni sindacali generali e di settore.
Ci sono i dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato e riguardanti i risultati della rilevazione del Conto Annuale 2003[7].
Se il criterio è quello della normativa applicata per disciplinare il rapporto di lavoro e si ritiene quindi che siano dipendenti pubblici solo quelli che non sono stati assoggettati alla normativa privatistica, il numero complessivo è di circa 600.000 unità: 130.000 appartenenti alle Forze Armate, circa 321.000 appartenenti ai corpi di polizia dello Stato, 107.000 docenti e personale universitario, quasi 17.000 dipendenti di enti di ricerca, quasi 10.500 magistrati (erano 8.283[8] nel 2002), poco più di 2.500 tra diplomatici di carriera e Prefetti, e, fra breve, 27.000 vigili del fuoco, prossimi ad essere ripubblicizzati.
Se il criterio è quello – più ragionevole – della natura del datore di lavoro indipendentemente dalle regole che governano il rapporto di lavoro, e quindi è impiegato pubblico chi dipende da un datore di lavoro pubblico anche se il rapporto è privatizzato, i numeri cambiano: il totale è poco superiore a 3.200.000 unità (3.213.521 nel 2003 secondo la Ragioneria dello Stato, 3.108.803 nel 2002 secondo i dati frutto di un’elaborazione del Dipartimento della Funzione pubblica su base OCSE/PUMA). [vedi la tabella]
Più della metà (1.623.507, secondo l’elaborazione OCSE/PUMA sopra citata), dipende dalle amministrazioni centrali: tra questi circa 240.000 impiegati ministeriali propriamente detti, circa 460.000 appartenenti ai Corpi di polizia e alle Forze armate, alla carriera diplomatica, alla Magistratura e ai Vigili del fuoco di cui abbiamo appena detto). Ma ci sono anche oltre un milione e centomila dipendenti della scuola, che rendono il Ministero dell’istruzione dell’Università e della ricerca una delle prime (e più complesse) organizzazioni del mondo in termini di numero di addetti.
La parte residua, tra 1.300.000 e 1.400.000 addetti (1.485.296 secondo lo studio OCSE/PUMA, circa 1.300.000 secondo la Ragioneria dello Stato), è formata da 60.000 dipendenti di enti pubblici non economici (Inps, Inpdap, Inail, ecc.), da 32.000 dipendenti di aziende autonome, da 550.000 dipendenti delle amministrazioni locali (Regioni, Province, Comuni) e da oltre 640.000 dipendenti del comparto della Sanità (medici, paramedici, infermieri, ecc.).
Anche questo criterio non è però esente da critiche.
Esso infatti non tiene conto di un largo numero di impiegati che dipendono da datori di lavoro divenuti formalmente privati (società di capitali per lo più) a seguito del processo di dismissioni e privatizzazione dell’economia avviato a partire dagli anni Novanta, ma sostanzialmente pubblici, in quanto tuttora l’amministrazione pubblica centrale o locale detiene una larga maggioranza (e spesso la totalità) del pacchetto azionario. Anche il costo di questo personale risulta apparentemente privato ed inserito in una logica di mercato, ma è sostanzialmente pubblico.
In questa categoria rientrano i dipendenti delle Poste, delle Ferrovie dello Stato, dell’Alitalia, delle centinaia e centinaia di ex aziende municipalizzate ora divenute società di capitali cui sono appaltati (in house) gli stessi servizi.
Ed infatti, la giustizia amministrativa al fine di decidere se un soggetto debba rispettare le regole previste per l’amministrazione pubblica (per esempio, le procedure concorsuali ad evidenza pubblica [9]) adotta un criterio allargato per individuare l’area dell’amministrazione pubblica, che include anche aree dimesse o formalmente private.
Non siamo riusciti a rintracciare dati sul numero dei dipendenti pubblici adottando quest’ultimo criterio, ma certamente ci avviciniamo ai 4 milioni di unità.
Come si vede la risposta al quesito apparentemente semplice – quanti sono i dipendenti pubblici – è tutt’altro che agevole: dipende dal criterio che si adotta.
Eppure, tutte le volte che si è tentato di effettuare una comparazione tra Italia e altri Paesi europei, assai ardua stante che in ciascun Paese assai diversi sono il concetto di impiegato pubblico e le aree di intervento dello Stato affidate a questa categoria, ci si accorgeva che le differenze erano esigue sia in termini di quantità dei dipendenti pubblici, sia in termini di costi per l’amministrazione.
Secondo la Ragioneria dello Stato, nel 2003, i dipendenti pubblici sono costati allo Stato circa 140 miliardi di euro.
Altri dati possono poi risultare interessanti.
Nel 2002, l’anzianità media del personale in tutto il pubblico impiego era pari a 17 anni. La fascia numericamente più rappresentata era quella del personale con anzianità inferiore ai 15 anni (pari al 46% del totale di fascia), mentre l’età media era di 45 anni.
Con riferimento ai titoli di studio, sempre nel 2002, Il 45% del personale in servizio possedeva il diploma di Scuola media superiore, mentre il personale laureato e con specializzazione post laurea (3%) costituiva circa il 30% del totale.
Le donne, nel 2003, rappresentavano circa il 53% del totale dei dipendenti pubblici, con un massimo di presenze nella Scuola (75,5%) ed un minimo nelle Forze Armate (0,1%).
Da ultimo può essere significativo vedere come i dipendenti pubblici sono ripartiti nei vari comparti [vedi il grafico] [10].
3. Torniamo ora alla domanda iniziale: sono troppi i dipendenti pubblici?
La ricerca OCSE-PUMA cui si è accennato ha provato a dare una risposta in chiave comparativa con altri paesi dell’Unione europea. Poiché però gli altri Paesi hanno loro criteri per individuare i dipendenti pubblici (e probabilmente, proprio come accade da noi, ne hanno più d’uno), l’utilità dello strumento comparativo, in mancanza di termini di comparazione omogenei, si presenta assai scarsa.
Ad ogni buon conto, da questa ricerca risulta che la media di dipendenti pubblici per abitanti dell’Italia – 54 ogni 1000 abitanti – non è superiore a quella degli altri Paesi. La stessa media risulta in Germania: 54 dipendenti pubblici ogni 1000 abitanti (4.433.600 dipendenti del settore pubblico per 82.1 milioni di abitanti), 53 in Spagna (2.101.724 per 39.5 milioni di abitanti) assai superiore la stessa media in Francia: 79 ogni 1000 abitanti (4.704.087 lavoratori pubblici per 59.3 milioni di abitanti). Lo studio OCSE/PUMA ha effettuato anche una comparazione fra l’andamento occupazionale dal 1990 al 2000, nel settore pubblico di Australia, Canada, Finlandia, Germania, Spagna e Italia. In tutti i Paesi (tranne la Spagna che ha aumentato i suoi organici del 13%) si è assistito ad una generale riduzione del personale. La Finlandia ha ridotto di circa l’8% il numero dei propri dipendenti pubblici, il Canada di circa il 5%, l’Australia del 16%, la Germania addirittura del 18%.
In Italia, tra il 1990 e il 2000, il personale del pubblico impiego è diminuito del 4%.

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