giovedì 31 maggio 2007

Ancora sui costi della Politica

Nessuno conosce con precisione i costi della politica e pochi hanno interesse a fare chiarezza dal momento che il sistema è perfettamente bipartisan e riguarda tutti i partiti. Controprova, l’inchiesta a puntate del Sole 24 ore, lasciata cadere nel silenzio generale. La stessa Corte dei Conti ne ha una visione parziale perché i bilanci che esamina sono quelli dell’istituzioni e degli enti statali.

Partiti: vivono di finanziamento pubblico che è pari al 77% e per alcuni (Italia dei valori, Nuovo Psi oltre il 99% delle entrate totali). Con la legge 156 del 26-07-2002 il rimborso per ogni voto è stato portato a un euro. Per le elezioni politiche del 2001 la spesa complessiva per i rimborsi è stata di 165 milioni di euro. È del tutto evidente che il referendum del 1993 sul finanziamento pubblico è stato aggirato dal momento che i contributi personali e i versamenti del tesseramento costituiscono una quota minoritaria per alcuni partiti, inesistente per altri, delle entrate. Nonostante il finanziamento pubblico cospicuo, alcuni partiti, in testa Forza Italia e Ds, sono indebitati. Per Forza Italia, in banca, garantisce personalmente Berlusconi; i Ds hanno ridotto il debito pregresso in maniera consistente. Per tutti i partiti la quota maggiore di uscite riguarda le spese elettorali e per i servizi.

Il personale è diminuito e la classifica vede in testa i Ds con 215 persone e Forza Italia con 105, retribuito direttamente dalle direzioni nazionali. Le considerazioni che si possono fare sono le seguenti:

a)la legge del ’97 che dava la possibilità di scelta ai cittadini versando il quattro per mille, equivalente all’otto per mille che va alle Chiese e allo Stato, è fallita. La proposta era stata difesa con passione alla Camera dei deputati da Massimo D’Alema che l’aveva considerata uno strumento di sfida democratica. L’allora segretario dei Ds aveva detto: «I partiti devono meritarsi il finanziamento dei cittadini. Quindi, questa legge è una sfida sul terreno democratico». Le cose sono andate male;

b) la scarsa percentuale di versamenti liberali dovrebbe far riflettere seriamente i partiti sulla percezione delle loro attività e comportamenti da parte dei cittadini;

c) sarebbe utile riprendere una delle proposte di legge depositate in Parlamento sulla responsabilità giuridica dei partiti in modo di esercitare i controlli, come era stato sostenuto con vigore da Mortati all’Assemblea Costituente, sulla loro vita interna da parte di una autorità come la Corte Costituzionale, di garanzia;d) la certificazione dei bilanci dei partiti in base alle norme del codice civile e il controllo delle spese elettorali dei candidati al Parlamento potrebbero costituire un incentivo per aumentare la fiducia dei cittadini e degli elettori.

Camera e Senato: costano circa 2 miliardi di euro all’anno. Montecitorio costa il doppio del Bundestag tedesco e dell’assemblea nazionale francese; il quadruplo dei Comuni inglesi è più di dieci volte del Parlamento spagnolo eppure i deputati tedeschi e francesi guadagnano più dei nostri essendo la spesa complessiva di 160 milioni di euro in Italia; 176 in Germania e 266 in Francia. Le voci che in Italia incidono di più sono quelle per il personale (più del doppio rispetto a Germania e Francia), per i vitalizi o pensioni e per le sedi. Lo stipendio dei 350 deputati spagnoli è appena di 40mila euro all’anno. Riassumendo: il bilancio di Montecitorio è uguale al prodotto interno lordo della Mongolia e al doppio del prodotto interno lordo di San Marino.

I nostri senatori non badano a spese. In dieci anni il bilancio di Palazzo Madama è raddoppiato passando da 297,6 milioni di euro del 1995 ai 550,7 milioni di quest’anno, che lordi diventano 900 milioni di euro. Palazzo Madama con i suoi 330 senatori, costa il doppio del Senato francese, il quadruplo della Camera dei Lord, dieci volte di più di quello spagnolo e ventisette volte di più del Bundrsrat tedesco. Le voci che incidono di più sono quelle per il personale, per i vitalizi e per gli investimenti per le sedi. Io penso che alcune economie siano possibili incidendo sugli stipendi di tutti e sul numero del personale con una moratoria di cinque anni e prevedendo alcune regole indispensabili per specifiche competenze e professionalità. Per quanto riguarda i vitalizi, le riforme degli ultimi anni decise dalle presidenze della Camera che si sono succedute, vanno nella giusta direzione ma potrebbero essere ulteriormente migliorate in senso restrittivo. Ma la riforma fondamentale, sempre annunciata e mai esaminata, rimane la riduzione drastica del numero dei parlamentari. In ogni caso, poiché i cittadini fanno coincidere le spese delle due Camere con gli stipendi che i parlamentari «si aumentano da soli», sarebbe utile chiarire:

1) che le aule parlamentari non decidono un bel nulla e che gli adeguamenti sono automatici perché legati a quelli dei magistrati di Cassazione;

2) che i regolamenti parlamentari hanno rilevanza costituzionale, le decisioni vengono assunte dagli uffici di presidenza e deputati e senatori discutono, quasi sempre frettolosamente, il bilancio complessivo.

Per cui sarebbe utile un impegno per una discussione approfondita dalle due assemblee in diretta televisiva. Il problema, infatti, è tanto avvertito e, spesso, male avvertito, che di fronte allo snocciolare dei dati riguardanti il lavoro nero, l’evasione fiscale, i patrimoni della mafie e il numero degli affiliati alle mafie nel Mezzogiorno, in una trasmissione di Telelombardia, gli interlocutori presenti in studio e i cittadini che telefonavano imprecavano solo contro gli stipendi dei parlamentari. Il resto non interessava più di tanto.

Governo e ministeri: costano 1.2 miliardi di euro e il costo è riferito al personale, le consulenze, la gestione degli uffici dei ministri e dei sottosegretari. I rilievi della Corte dei Conti sulla sovrapposizione delle competenze tra ministeri e tra questi e le Regioni, sul numero di consulenti inutili, sui contratti milionari e sulla carenza di controlli, sono costanti ma restano lettera morta. I ministeri che costano di più sono: Ambiente, Trasporti e Difesa. Secondo la Corte dei Conti il 56,5% delle risorse attribuite al ministero dell’Ambiente per la difesa del suolo e per la tutela ambientale è assegnato agli uffici del ministro. Lo stesso vale per i fondi destinati alle grandi opere assegnati al ministro dei Trasporti e per quelli della Difesa. Il federalismo di stampo leghista-berlusconiano è diventato centralismo e clientelismo feroce, con assoluta descrizione nella gestione del pubblico denaro. La presidenza del Consiglio è un disastro. Il premier-manager, tanto bravo per le sue aziende, ha moltiplicato i dipartimenti e con essi il personale: Protezione civile, finita nel mirino della Commissione europea; Innovazione tecnologica e tecnologie; Ufficio nazionale per il servizio civile; i dipartimenti Antidroga ed Editoria. New entry: alto commissario anticorruzione per il quale la Corte dei Conti chiede «notizie sulla attività svolta» è dipartimento per il programma di governo.

Regioni ed Enti locali. Le Regioni hanno richiamato la maggiore attenzione per la dilatazione della spesa che a causa di un neocentralismo che contraddice la ragione stessa della istituzione delle regioni. Aumento del numero dei consiglieri e delle commissioni, degli assessori interni ed esterni, con l’introduzione dei sottosegretari, delle consulenze, degli stipendi, svuotamento dei compiti dei Consigli e aumento della conflittualità Stato-Regioni, sono stati evidenziati da Sabino Cassese (Corriere 19 luglio 2005). Il costo dei 48mila dipendenti è di 1,28 miliardi di euro con un record nelle regioni del Mezzogiorno. Consiglieri e Assessori sono diventati 1247, ripartiti equamente su tutti il territorio nazionale, ma con differenze rilevanti tra regione e regione e con un costo procapite medio mensile di 9.139 euro.

Per quanto riguarda i dipendenti regionali guida la classifica la regione Sicilia seguita dalla Campania e dalla Calabria, che è riuscita ad assegnare la presidenza a tutti i consiglieri di maggioranza. La Sicilia di Cuffaro, scrive Francesco Forgione, capogruppo di Rifondazione all’assemblea regionale, nel bel libro «Amici come prima» Editori Riuniti, ha 20mila dipendenti ai quali va aggiunto il personale degli enti economici e regionali, delle aziende per il turismo, delle ipab, dei consorzi di bonifica. «A questi vanno aggiunti altri circa 20mila lavoratori a tempo parziale al servizio del demanio forestale e le altre migliaia di precari». Per cui, «un’intera città, Palermo, con i suoi 700mila abitanti, vive prevalentemente di questa economia e sono tante le famiglie in cui arriva lo stipendio di un regionale». «Per decenni la Sicilia ha rappresentato davvero e continua a rappresentare», prosegue Forgione, «un residuo di socialismo reale senza ideologia, se non quella dello scambio e del favore clientelare, con una gestione centralista e statalista del rapporto tra l’amministrazione pubblica, la società e l’economia che, nel corso degli anni, ha snaturato anche le ragioni stesse di una conquista democratica come lo statuto autonomista». La Sicilia guida anche la classifica degli stipendi ai parlamentari con 12.234 euro mensili, equivalenti al 100% dello stipendio di un parlamentare nazionale. Segue per numero di dipedenti (9.896) e cioè più di quanti ne contino Toscana, Umbria, Marche e Lazio, la Campania, che però ha il primato del costo del lavoro e cioè 392.351.000 euro del 2003, pari al 19% della spesa nazionale. Un altro primato della regione Campania è quello dei 506 dirigenti che guadagnano mediamente 85.832 all’anno. Bassolino è stato criticato anche per la moltiplicazione delle commissioni e delle consulenze e ha replicato molto risentito, ma non ha smentito i dati. D’altronde la spesa totale della Regione Campania, rispetto a quelle delle altre regioni a statuto ordinario, è proporzionalmente al numero di abitanti, la più elevata (13 miliardi - rendiconto 2003) con un’aumento del 13,44% sul 2002.

Più difficile quantificare i costi della politica degli enti locali. Un dato complessivo (Sole 24 ore, 14 agosto) è il seguente: 300mila persone circa, tra gli eletti nelle assemblee elettive e dipendenti delle strutture centrali e periferiche dei partiti, sono impegnati in politica. È un numero consistente di persone che è inversamente proporzionale al funzionamento delle istituzioni e dei servizi e alla qualità della nostra democrazia.

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