venerdì 13 luglio 2007

A Roma chiesta una pena di quattro anni per Donatella Dini

La procura di Roma ha chiesto la condanna a quattro anni di reclusione di Donatella Pasquali Zingone, moglie dell' ex ministro Lamberto Dini, per bancarotta fraudolenta nell'ambito dell'inchiesta sul gruppo Zeta e in particolare sul crac di 40 miliardi di lire che ha provocato il fallimento della società "Sidema srl", avvenuto il 13 marzo 2002.

La richiesta è stata fatta giovedì dal pm Paolo Auriemma al processo nel quale, oltre a Donatella Zingone, è imputato, sempre per bancarotta, anche Italo Mari, componente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della Sidema dal 26 gennaio al 1 luglio 1999.

Per quest'ultimo il rappresentante dell'accusa ha chiesto la condanna a tre anni e mezzo di reclusione. Un terzo imputato, Enrico Pozzo, amministratore della Sidema dal 26 gennaio 2000 al fallimento, ha già patteggiato una pena di due anni. I pm Paolo Auriemma contesta agli indagati di aver esposto nei bilanci che vanno dal 1994 al 2000, e nelle note integrative, fatti materiali non rispondenti al vero in modo da indurre in errore i destinatari della comunicazione.

In particolare, per i magistrati romani, negli esercizi 1999 e 2000 sarebbero stati esposti nell' attivo dello stato patrimoniale una posta del patrimonio netto denominata «Fondo riserva su partecipazione» per un valore di tre miliardi e 400 milioni di lire corrispondente alla partecipazione al 100 per cento nella società Innovation, acquisita per 300 milioni di lire e mai pagata. Inoltre, si contesta agli indagati, nell nota integrativa al bilancio 1999, di aver falsamente dichiarato che l'area di proprietà della società partecipata era «in procinto di essere concessionata dal comune di Castelnuovo di Porto».

Zingone, difesa dall'avvocato Vincenzo Siniscalchi, e Mari, assistito dall'avvocato Emilio Ricci, sono inoltre accusati di aver esposto nel bilancio 2000, nell' attivo patrimoniale, immobilizzazioni materiali per un valore di 11 miliardi di lire, superiore di sei miliardi e 800 milioni al valore risultante nell'esercizio precedente, operando una rivalutazione monetaria priva di giustificazione. Tali attività, per l'accusa, avrebbero provocato il dissesto della Sidema.

Interrogata nel novembre 2003, Donatella Dini, respinse tutte le accuse definendo l' inchiesta giudiziaria «una bolla di sapone». La sentenza dovrebbe essere emessa dalla decima sezione del tribunale di Roma il 30 ottobre prossimo.
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